Quantcast
Channel: Insegnare stanca... » scuola italiana
Viewing all articles
Browse latest Browse all 5

Perché un codice deontologico (nell’editoria scolastica).

$
0
0

Deontologia: «Termine filosofico con cui J. Bentham chiamò la sua dottrina utilitaristica dei doveri (Deontology è anche il titolo di una delle sue opere). Il termine è entrato in uso per indicare il complesso delle norme di comportamento che disciplinano l’esercizio di una professione» [da: Treccani.it].

Il caso UBER è solo l’ultimo della cronaca. Il “nuovo che avanza” è un fenomeno innegabile, e mi riferisco esclusivamente, per amor di pace, all’invasione del digitale nel mondo del lavoro. Il digitale crea lavoro e toglie lavoro, questo è il dilemma, e non c’è molto spazio per l’ideologizzazione “liberismo no-liberismo sì”. E poi, se proprio vogliamo metterla in termini ideologici Marx, nei Manoscritti economico-filosofici del ’44, scriveva che il lavoro salariato (lavoro astratto) è l’origine di tutti i mali e che solo nel lavoro concreto l’essenza dell’uomo può trovare piena realizzazione. La differenza tra lavoro astratto e concreto è molto semplice: il lavoro astratto è quello in cui il lavoratore è separato (alienato) dal processo di produzione, privato del potere di decidere e dal possesso del frutto del suo lavoro, mentre il suo impegno produttivo è quantificato in termini di puro salario. Il lavoro concreto, al contrario, è quello che ancora un secolo e mezzo fa poteva essere considerato il lavoro artigianale: dal progetto alla merce, la realizzazione del processo produttivo essendo tutta nelle mani di una sola persona che pensa, realizza, opera e porta sul mercato il frutto del suo lavoro. La grande colpa del marxismo (II Internazionale) fu, soprattutto, di dimenticarsi di questa essenziale considerazione “umanistica” di Marx (troppo “filosofica”!!) e di piegarsi alla logica liberale dell’equazione lavoro = progresso, progresso=industrializzazione, con le conseguenze ben note.

Perché dico questo? Perché è un’ipotesi tutta da discutere (seriamente) quella secondo cui il digitale può favorire la libera iniziativa nel senso “marxiano” della parola: un’iniziativa digitalizzata può rappresentare lavoro concreto per chi la adotta (progettazione, esecuzione e guadagno), nella misura in cui….

a)      Non diventi un monopolio (Amazon docet)
b)      Crei lavoro cooperativo (non call-center)
c)       Risponda a un preciso codice deontologico.

Prendiamo in esame, nella logica di questo blog, l’ultimo elemento.
Oggi si parla molto di Start Up, intendendo quell’iniziativa d’impresa che in molti casi cerca di infilarsi nel settore del lavoro digitale. È difficile che una Stat Up così intesa sia rappresentata da un’impresa di tipo tradizionale, con dirigenza, dipendenti stipendiati e quant’altro. È più facile che essa sia costituita da una compagine di cooperanti di pari livello che si avvalgono di consulenze e professionalità diverse. Per esempio una piccola casa editrice.

Mettiamo che questa casa editrice voglia entrare nel mercato dei libri di testo; poiché non deve rispondere ad alcun “comitato di saggi” e non ha alcun controllo oltre il mercato stesso, che cosa possono aspettarsi da essa gli utenti? Diciamo, come minimo, competenza e professionalità.

Questi sono valori che vanno garantiti e per i quali non è certamente sufficiente un’auto-certificazione. Se voglio fare il taxista, non basta saper guidare; se voglio fare il farmacista, non basta indossare il camice bianco… se voglio fare l’editore, non basta creare un PDF. Occorre sempre e comunque il rispetto delle regole, ben specificate nei settori professionali più riconoscibili. Quali sono le regole che disciplinano l’editoria scolastica, e che difendono gli utenti (attenzione: non i consumatori, ma i cittadini per cui vale il diritto universale all’istruzione)? Non esistono regole “certe“ e condivise, così come non esiste un albo professionale dell’editore che certifichi la competenza professionale attraverso un esame pubblico.
Ecco dunque affacciarsi la possibilità dell’abusivismo, come sempre avviene in quei settori lavorativi in cui è possibile l’iniziativa privata senza controllo.

Può esistere un editore “abusivo”? Beh, certamente un editore è figura un po’ più complessa di un parcheggiatore, ma cosa intendiamo per “editore”? Per esempio: un insegnante che produce un eBook e poi lo mette in rete, che ruolo ricopre? Auto-produce un libro o due o tre invece di cento come un editore, non si avvale di altri collaboratori che di se stesso, e – di solito – sceglie di distribuirlo gratuitamente a un numero limitato di studenti (o di appoggiarsi sempre gratuitamente a una qualche piattaforma di distribuzione). Ma l’oggetto-libro rimane, per gli utenti, quello che è: la proposta di un libro di testo. Questo insegnante-non-editore entra dunque in concorrenza con l’editore classico. Una concorrenza molto facile, perché fornisce gratuitamente quello che altri fanno pagare. Senza voler fare del moralismo, ritengo che quest’ultima condizione ponga degli interrogativi.

Se io contrabbando della merce, ad esempio prodotti alimentari, significa che mi sottraggo ai controlli che vigono nel mercato alimentare. Posso essere pieno di buone intenzioni, ma chi mi dice che il difetto (l’adulterazione) non sia alla fonte? E così: se pretendo di scrivere un libro di testo, quali garanzie posso dare agli utenti circa la mia competenza e professionalità, oltre la mia? È vero che adottando un libro di testo io “impongo” una mia scelta a 25/30 ragazzi, ma scrivendolo io affermo su di loro un’autorità assoluta, poiché mentre posso confutare intere parti (ovviamente non tutte, se no perché adottarlo?) del libro di testo in nome di un pensiero alternativo, difficilmente arriverò a confutare me stesso.

Il libro di testo è un supporto utile all’insegnante per esplicare la funzione docente, funzione che entra nella logica ampia di un servizio pubblico; non è lo studente che sceglie l’insegnante, ma la scuola come istituzione pubblica che affida al docente 25 ragazzi da educare. L’insegnante quindi deve rispondere dei suoi comportamenti e delle sue scelte poiché è responsabile di un pubblico servizio. Che adotti un libro di testo o lo produca, il discorso non cambia.

E per l’editore? Che ruolo ricopre l’editore scolastico nel pubblico servizio? È semplicemente un fornitore? Le scelte editoriali fin dove si possono o devono spingere? Oggi, grazie al digitale, è “relativamente facile” editare un testo (altro discorso invece riguarda la sua distribuzione, ma lasciamo stare); senza nasconderci dietro un dito, diciamo allora che è “relativamente facile” abusare di una professione molto delicata. Quali strumenti ha la collettività per discernere il grano dal loglio? Quali strumenti hanno soprattutto gli studenti per valutare la scelta “imposta” dall’insegnante?

Non ho risposte al quesito, se non una: non creare delle regole che condizionino (come avviene in molti paesi anche tra i più avanzati) la libertà d’insegnamento, ma pensare un codice deontologico dell’editore scolastico che si rifaccia ai fondamenti del vivere civile e ai diritti garantiti della persona e del cittadino, declinandoli nella logica di un servizio culturale che è anche fonte di lavoro qualificato.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 5

Latest Images

Trending Articles





Latest Images